Embolizzazione prostatica

Embolizzazione prostatica

È una procedura che permette di eliminare la parte più interna della prostata, cioè l’adenoma, che determina l’ostruzione dell’uretra e la conseguente difficoltà nell’urinare, chiudendo i vasi che gli veicolano il sangue e consentendone la riduzione volumetrica.

Indicazioni

Tecnica e decorso postoperatorio

Questo intervento viene eseguito di norma in anestesia locale, al limite con una modesta sedazione, in sala angiografica, non dal chirurgo urologo ma dal radiologo interventista. Con il paziente, al quale è già stato applicato un catetere vescicale tipo Foley, in posizione supina e con le gambe leggermente divaricate previa anestesia locale della cute della piega della coscia si incannula con un apposito sistema di aghi, fili guida e cateterini vascolari (la cosiddetta tecnica di Seldinger) l’arteria femorale; da questa si risale progressivamente con dei cateterini più sottili per via retrograda e sotto controllo radiologico angiografico fino all’arteria iliaca esterna e all’iliaca comune; da questa si ridiscende poi nella iliaca interna e nella pudenda, fino ad arrivare ai rami prostatici di quest’ultima, che portano il sangue direttamente alla prostata; a questo punto si inseriscono tramite i cateterini, secondo le dimensioni e le caratteristiche dei vasi, delle sostanze che provocano la chiusura dei vasi stessi: possono essere dei pezzettini di spugna di fibrina, che aderiscono direttamente ai vasi, o liquidi sclerosanti che provocano l’addensamento diretto dei componenti del sangue, o fili sottilissimi di tungsteno che formano un batuffolo al quale aderiscono le piastrine del sangue. In ogni caso si forma un tappo che occlude in maniera prima temporanea e poi definitiva i vasi interessati. La procedura secondo le dimensioni dell’adenoma e le caratteristiche anatomiche dei vasi può essere eseguita solo da un lato o da entrambi, nel qual caso potrebbe essere necessario incannulare entrambe le arterie femorali, qualora non si riuscisse a percorrere per via retrograda fino alla biforcazione aortica e poi ridiscendere per la iliaca comune controlaterale. Al termine della procedura viene lasciata nella sede dell’accesso vascolare una medicazione compressiva che verrà mantenuta per almeno 12-24 ore, salvo diverse indicazioni da parte del radiologo interventista.

Risultati e possibili complicanze

Questa tecnica permette nella maggior parte dei pazienti un discreto miglioramento del flusso urinario e della sintomatologia disurica con il vantaggio di mantenere l’eiaculazione anterograda e non avere impatto negativo sulla continenza.

Nel complesso comunque i risultati sono decisamente inferiori a quelli delle tecniche ablative (adenomectomia, TURP, tecniche laser) e questa metodica, seppur mini invasiva, non è da considerare come prima scelta.

La ischemizzazione del tessuto prostatico ne determina una riduzione del volume non immediata, in quanto deve prima verificarsi la morte delle cellule e quindi la rimozione delle cellule stesse da parte dell’organismo; è il motivo per cui il catetere deve essere mantenuto in sede per alcune settimane. Una volta rimosso il catetere la ripresa della minzione spontanea può essere caratterizzata dalla presenza di disuria con urine ematiche e necessità di urinare di frequente e soprattutto con urgenza ma nella maggior parte dei casi senza dolore o bruciore; di solito questo quadro ritorna alla normalità nel giro di due- quattro settimane.

La principali complicanze riguardano la tardiva o mancata ripresa della minzione, con conseguente mantenimento del catetere a permanenza o con prolungati periodi di cateterismo.

In caso di importante componente infiammatoria (prostatite) potrebbero manifestarsi disturbi irritativi o prolungata dolorabilità della zona perineale. 

Per doverosa informazione, si ricorda che la visita medica rappresenta il solo strumento diagnostico per un efficace trattamento terapeutico. I consigli forniti in questo sito devono essere intesi semplicemente come suggerimenti di comportamento.